“A che ora si mangia?” Ognuno di noi lo ha chiesto tante volte nella sua vita, ma probabilmente pochi si sono chiesti perchè si mangia proprio a quell’ora. E soprattutto perchè da Nord a Sud, nelle città, ma anche da paese a paese ci sono tante differenze. C’è chi crede che sia per il sole, chi per semplice abitudine. Tuttavia, dietro l’orario dei pasti, c’è una storia ben più affascinante che affonda le sue radici nelle classi sociali e nel loro rapporto col cibo, tra possesso e ostentazione di consumo. Tra i libri di Alessandro Barbero, lo storico e scrittore che ha reso quasi popolare una materia per molti ritenuta ostica, ce n’è uno che si chiama proprio A che ora si mangia e racconta come gli orari dei pasti “sono una costruzione culturale e cambiano non solo da un paese all’altro, ma da una classe sociale all’altra e anche da un’epoca all’altra”.
Libri di Alessandro Barbero: “A che ora si mangia?”
Può l’orario dei pasti divenire il simbolo del divario tra aristocrazia e borghesia, tra campagna e città, tra cultura e arretratezza? Può la semplice abitudine di quando mangiare marcare un confine così netto e potente tra gli uomini al punto da divenire una vera prova di forza tra le classi sociali?
Alla fine del 1700 l’aristocrazia londinese e parigina cominciò a spostare l’ora del pasto principale, il pranzo, sempre più avanti nella giornata fino a portarlo alle 7 di sera. Ovviamente, per non morire di fame nell’attesa, la colazione si fece sempre più sostanziosa. Questa abitudine divenne presto una moda anche in Italia, Germania e negli Stati Uniti, che tuttavia rincorsero per quasi un secolo le abitudini di Francia e Inghilterra senza raggiungerle mai, almeno fino al Secolo Breve quando, tra guerre, cambiamenti economici e nuovi equilibri politici, l’ora dei pasti perse in parte la sua valenza simbolica per divenire per lo più una semplice abitudine.
Alessandro Barbero dimostra come un ritmo della nostra vita che abbiamo semplicemente accettato come naturale fin dalla nascita sia in realtà qualcosa di estremamente più complesso e affascinante.
L’orario dei pasti nel 1700
Nel 1700 si mangiava tre volte al giorno e l’orario prima era quello delle campagne mentre l’orario più tardo era quello delle città:
- dejouner: appena svegli si faceva una colazione abbondante;
- diner: tra mezzogiorno e le 2 si faceva un pranzo molto abbondante;
- souper: tra le 20 e le 22 si faceva una cena leggera.
Se questi orari dei pasti possono sembrare simili a quelli praticati oggi in Italia e Francia, Alessandro Barbero ricorda che “come un treno che accumula ventiquattr’ore di ritardo finisce per essere di nuovo in orario, così gli orari dei pasti hanno subito uno slittamento così accentuato fra la Rivoluzione Francese e la Prima Guerra Mondiale da ricollocarli, alla fine, sulle stesse posizioni” (pag. 12). Tuttavia c’è un fatto linguistico interessante che dimostra proprio la veridicità di questa affermazione: il dejouner non è più la colazione, ma oggi è il pranzo mentre il diner non è più il pranzo, ma oggi è la cena.
Nel 1735 in Inghilterra l’orario ufficiale del pranzo erano già le 15 e divennero presto le 16 per il gentiluomo alla moda. Le altre corti europee non fecero altro che allinearsi a questa società fashionable in virtù dello spirito anglofilo che contagiava i ceti sociali più elevati e che proprio così si allontanava sempre di più dal resto della popolazione.
Alessandro Barbero mette l’accento su un fatto molto interessante, ovvero di come gli stessi uomini settecenteschi erano consapevoli che gli orari dei pasti erano di fatto una scelta voluta dalle stesse implicazioni sociali.
Il pranzo
Fin dal Medioevo il cibo e il suo consumo erano uno strumento di ostentazione del potere. Se a una famiglia nobile “normale” spettava dimostrare di possedere una grande quantità di cibo con almeno alcuni ingredienti rari, al principe e ai membri più alti dell’aristocrazia questo non bastava. A loro, infatti, spettava la capacità di poter consumare nella stessa occasione una grande quantità di cibo.
In generale poi i pasti di chi si poteva permettere di mangiare erano enormemente più abbondanti e articolati dei pasti odierni. Se oggi in Italia e Francia è considerato normale mangiare con un’unica portata anche abbondante a pranzo e cena, all’epoca i pasti erano articolati in diversi servizi che a loro volta potevano contenere un grande numero di portate. Il pranzo quotidiano della famiglia borghese più semplice conteneva almeno 5 diverse ricette di cui almeno 2 a base di carne. Queste salivano ad almeno 4 (un umido, un lesso, un fritto e un arrosto) nel caso fossero presenti ospiti.
Questo spiega perchè la cena era di fatto un accessorio, più simile a uno spuntino serale se non notturno piuttosto di come viene intesa oggi… esattamente come accade – ad esempio – dopo un moderno “pranzo della domenica”! Sia chiaro, tuttavia, che l’abitudine di non cenare affatto è totalmente una scelta personale: l’unica certezza era la sua consistenza più leggera del pranzo.
“M’alzo alle 9 della mattina, fo colazione con ottima cioccolata… lavoro fino a mezzogiorno, passeggio fino alle due… desino spesso fuori. Dopo pranzo non mi piace lavorare né passeggiare. A volte vo al teatro, e più spesso faccio la partita fino alle 9 di sera; rientro però a casa prima delle dieci e prendo due o tre cioccolatini con un bicchier di vino annacquato: questa è la mia cena!”
Carlo Goldoni, “Memorie”, cit. parte III, cap. XXXVIII
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Lo spostamento dell’orario dei pasti
Tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 l’aristocrazia europea comincia a ritardare sempre di più il pranzo. Questo tuttavia non riguarda solo il pasto principale, ma ha conseguenze sull’intera organizzazione della giornata. Per prima cosa scomparve la cena (souper) e comparve la dejeuner a la fourchette, una colazione abbondante che si può assimilare all’odierno brunch in quanto non veniva più fatta al risveglio ma verso metà mattina. Se prima non cenare era una sana abitudine dovuta a un pranzo troppo abbondante, ora era una necessità in quanto spesso l’orario del pranzo coincideva con quello della cena. Solo in occasioni speciali si mangia qualcosa di notte, tra le 2 e le 3 del mattino, dopo un ballo o il teatro, ma non ci si siede a tavola: si spiluccano carni fredde, cioccolatini e dolci in piedi mentre si conversa, anticipando i moderni aperitivi a buffet.
Londra
Come si è visto nel capitolo precedente, in Inghilterra si pranzava tardi già a metà del 1700. In particolare il re mangiava alle 3 e i ministri e i lord più alla moda alle 4 del pomeriggio. Alla fine del secolo questi orari si diffusero anche alla nobiltà più provinciale, con grande disappunto della classe dominante che doveva tassativamente correre ai ripari posticipando ulteriormente il pranzo.
Intorno al 1790 i ricchi gentiluomini londinesi invitavano i loro ospiti a pranzo per le 5 di pomeriggio. “Nel 1794 John Quincy Adams, il futuro presidente degli Stati Uniti, a Londra per negoziare un accordo commerciale, è invitato a pranzo da Samuel Vaughan, grande banchiere e piantatore della Giamaica, «at five»” (pag. 21).
Le mode corrono e nel primo decennio del 1800 diventa normale per molti nobili inglesi anche di provincia pranzare alle 17:00. “Nel 1815 John Quincy Adams, ormai diventato ambasciatore alla corte di Londra, viene invitato a pranzo alle 18:30 e arriva in ritardo intorno alle 19, scopre comunque di essere il primo: l’uso mondano è di invitare per le sei e trenta o le sette meno un quarto, ma nessuno arriva prima delle sette” (pag. 22).
Questa abitudine di pranzare così tardi tipica del bel mondo è spesso oggetto di satira dei giornali dove viene evidenziata la “mollezza della vita aristocratica”, ma nel giro di pochi anni sono i nobili che non si sono adattati a questi orari moderni ad essere oggetto di scherno.
Alessandro Barbero sottolinea come nel 1863 accade un fatto particolarmente interessante: per la prima volta nella Camera dei Comuni si parla dello spostamento degli orari dei pasti in quanto si pranza ormai abitualmente alle 19:30. Dato che a quell’ora i lavori dovrebbero tradizionalmente proseguire, si discute di istituire un ristorante all’interno della Camera che consenta ai suoi membri di pranzare senza allontanarsi. Storicamente, infatti, i Comuni si riunivano dopo pranzo, ovvero intorno alle 16, ma con il pranzo posticipato alle 19:30 divenne opportuno rivedere gli orari o almeno dare la possibilità di mangiare in sede.
Parigi
Qui Alessandro Barbero mette in evidenza un altro fatto molto interessante: se a Londra lo slittamento dell’orario del pranzo era stato oggetto di scherno da parte della stampa britannica, a Parigi invece viene accolto con grande razionalità in quanto lo si ritiene un fatto necessario per assecondare il commercio e il capitalismo. “[…] il ritardo nell’orario del pranzo non è attribuito ai cattivi costumi del bel mondo, ma al contrario a un’esigenza di efficienza e produttività, essendo ovvio per tutti che dopo pranzo non si lavora più.
Interessante come a Parigi, prima della Rivoluzione Francese, si lavorasse dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 21. Dopo una riforma creò un orario unico dalle 9 alle 16 per consentire ai deputati di mangiare successivamente. Nel giro di breve tempo questo provocò un cambiamento di abitudini generale a cui si adattò anche il resto della popolazione in quanto i lavoratori di rango più basso dovettero adattarsi agli orari di quelli di rango più alto.
Si può notare come questo innesca un circuito degno di un cane che si morde la coda: le classi sociali più alte vogliono differenziarsi dal resto della popolazione – in un’ottica di snobismo sociale funzionale – pranzando sempre più tardi, ma di fatto questa è costretta ad adattarsi ai loro orari per svolgere il proprio lavoro.
Nella prima metà del 1800 a Parigi si pranza tra le 18 e le 19 e questo orario viene seguito da chiunque ci tiene ad essere considerato alla moda.
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Chiara Bassi
Paesi evoluti e Paesi arretrati: ritardi e adeguamenti continentali
Se da un lato gli inglesi avevano creato i nuovi orari e consideravano arretrati i continentali che non vi si adattavano tempestivamente, dall’altro questi ultimi li consideravano stravaganti anche quando li compiacevano. La Germania di fine 1700 ancora pranzava tra le 13 e le 14 e consumava una cena leggera intorno alle 20, con grande disappunto dei diplomatici inglesi che si dovevano adattare a questi orari se volevano intraprendere una vita sociale al di fuori della loro patria.
“Nella conservatrice Germania, alzarsi di buon’ora e pranzare presto sono punti fermi inossidabili, anche in quegli ambienti, come la corte, che non ignorano il prolungamento notturno della vita di società. […] Non c’è l’abitudine di cenare dopo il ballo, a notte fonda”. [pag. 48] Occorre precisare che in Germania gli orari mondani sono relativamente anticipati: per presto al mattino si intendono le 11 e comunque raramente i balli finiscono prima delle 4 di notte.
La Germania più cosmopolita la si percepisce invece nei racconti di Hoffmann, un’opera fantastica scritta dal violoncellista Jacques Offenbach nel 1851. Qui i personaggi fanno colazione con vino e biscotti o ostriche e Champagne alle 11e pranzano dalle 15 alle 16.
Alla corte di Berlino, tuttavia, la cena non scomparirà mai e sarà semplicemente più leggera come accadeva un tempo anche in Inghilterra.
In Italia il bel mondo è più accogliente verso i nuovi orari. Intorno al 1850 a Milano si pranza alle 17 con lo stesso spirito di Parigi, ovvero per sbrigare tutto il lavoro prima, ma nel resto della Lombardia si pranza prima, mai dopo le 15. Appena dieci anni dopo, a Torino, si comincia a pranzare alle 18. Nel 1917, in alcune annotazioni, si vede il pranzo addirittura fissato alle 20.
Il risultato per Alessandro Barbero? Uno scompenso linguistico.
Senza soffermarsi sul problema del come chiamare i vari pasti della giornata – che si può approfondire comprando il libro A che ora si mangia? – è interessante un altro disguido: a forza di slittare il pranzo in avanti, questo ha ormai preso il posto della cena. I nomi dei pasti sono sentiti come indicatori di orario a prescindere da cosa e da quanto si mangia.
Solo in Italia, dove non è presente un centro linguistico, il nome “pranzo”, per il pasto consumato intorno alle 20, ha cambiato forma in “cena” (sulla scia del termine romano coena) ed è stato restituito il nome “pranzo” al pasto consumato intorno a mezzogiorno, chiamato “colazione” solo nelle occasioni più formali.
Si può dire quindi che a forza di ritardare il pranzo, questo è arrivato a sostituire la cena e, inevitabilmente tutto il sistema ha ruotato riportando l’orario dei pasti alla situazione originale. Senza dimenticare però che la moderna cena di oggi è di fatto il pranzo di ieri, solo un po’ meno alla moda.
Fonti e crediti:
- Barbero A., “A che ora si mangia?”, Quodibet Elements, 2017, Macerata
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