Panpepato ferrarese o pampepato ternano? Panpepato senese o pangiallo romano? Dall’Emilia-Romagna al Lazio, questo dolce natalizio mette d’accordo tutti. Infatti non c’è momento dell’anno che, come il periodo delle festività natalizie, riunisce parenti e amici per festeggiare insieme e godere di prelibate libagioni. Occasioni conviviali in cui, posate alla mano, ci si alterna tra brodi, paste fresche, sformati, arrosti, pasticci e contorni. Si tratta di una lunga sequenza di portate intercambiabili di anno in anno, alcune quasi ritualizzate, altre inserite come elemento di evoluzione della storia familiare. Eppure c’è una cosa che non può mai mancare e che caratterizza la tavola di ogni italiano: il dolce. Così, da nord a sud, troviamo un susseguirsi di panettoni, pandori, torroni e dolcetti con ingredienti e forme che variano da regione a regione. Nell’Italia centrale e settentrionale, in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio, c’è però un dolce di piccole dimensioni, compatto e dall’inconfondibile gusto tostato e fortemente speziato, che mette d’accordo tutti: il panpepato.

Panpepato

Il nome

Il nome di questo dolce, chiamato anche pampepato o panpapato, ha un forte potere evocativo e due sono le ipotesi più accreditate riguardo alla sua etimologia. La prima ne dà un’origine ecclesiastica a cui probabilmente si è ispirata anche la forma del panpepato che ricorda lo zucchetto, il copricapo riservato agli alti membri del clero. Questa ritiene che solo i prelati, i nobili e i membri dell’alta borghesia potessero goderne a causa della grande quantità di materie prime costose usate nella sua produzione. La seconda ipotesi riguarda, invece, la presenza di pepe tra gli ingredienti e attribuirebbe al panpapato un’origine contadina: le fasce meno abbienti della popolazione, infatti, avevano l’usanza di portare sulla tavola delle festività, spesso povera e scarna, almeno una pietanza ricca e sostanziosa, utilizzando gli ingredienti messi da parte durante l’anno. Probabilmente entrambe queste ipotesi sono vere e nascono dalle diverse finalità con cui era prodotto nelle varie regioni. Di certo c’è che la ricetta panpepato è molto ricca e un gran numero di preziosi ingredienti – mandorle, nocciole, noci, pinoli, cannella, noce moscata, farina, canditi, uva passa, pepe, cacao, cioccolato, caffè, liquore, miele, farina e mosto cotto d’uva – sono impastati nella tipica forma a cupola del peso medio di 200 grammi e cotti in forno.

Panpepato origini… e luoghi di oggi

Questo dolce, fortemente radicato nella tradizione natalizia del Centro Italia e riconosciuto prodotto tradizionale in Toscana, Umbria e Emilia-Romagna, trova le sue origini già in epoca imperiale romana, quando si mangiava frutta secca impreziosita da miele e spezie. Il cacao verrà aggiunto successivamente, intorno al 1500, quando fu introdotto in Europa dagli Arabi. In particolare, il panpepato, è un dolce tipico delle città di Terni, Ferrara, Siena e Anagni, dove è possibile trovarne versioni leggermente diverse negli ingredienti e nelle forme, mantenendo però la caratteristica comune di un pane dolce e speziato.

Panpepato ferrarese Pampepato ternano

Panpepato ferrarese

Le origini del panpepato ferrarese sembrano avere natura ecclesiastica: le monache di clausura producevano questi dolci da donare alla classe clericale e alle personalità di spicco del tempo. Quindi, in questo caso, il nome panpepato deriverebbe da “Pan del Papa” e questo spiega anche la variante locale con cui è chiamato: panpapato. Ha la classica forma a zucchetto (cupola), ma la sua caratterizzazione è ben definita dalla forte presenza di cioccolato fondente sia nell’impasto che come glassa di copertura esterna che dona al dolce una consistenza morbida e pastosa. Il panpepato ferrarese ha ottenuto nel 2015 la denominazione IGP (Indicazione Geografica Protetta).

Pampepato ternano

Le origini del pampepato ternano, come qui è chiamato, con la “m” al posto della “n”, sembrano essere contadine. Ha la classica forma di piccola cupola, qui gergalmente chiamata “a montagnola”, ed è ricco di frutta secca tostata, cioccolato, canditi e spezie. A partire dall’8 dicembre, in occasione della festività dell’Immacolata Concezione, questi dolcetti vengono sfornati in abbondanza e mangiati per tutto il periodo natalizio. Non di rado, però, il consumo dei pampepati prosegue fino al 14 marzo per festeggiare il giorno di San Valentino, patrono della città. Il pampepato ternano ha ottenuto nel 2020 la denominazione IGP.

Panpepato senese

Le origini del panpepato senese risalgono all’anno 1000 ed è interessante il percorso che ha portato il panes melato dei poveri (panmelato) a diventare prima panes fortis (panforte) e poi panes pepatus (panpepato) dei ricchi. In principio si trattava di un semplice impasto di farina con l’acqua con cui venivano lavati i contenitori del miele che era appunto dolciastra e si otteneva il melatello. Poi il dolce si impreziosì di vero miele e cominciò a chiamarsi panes melato. Nei secoli si arricchì della frutta tipica dell’autunno (fichi, uva…), cotta ma non completamente disidratata, che in pochi giorni ammuffiva conferendo un gusto intenso e acido al dolce che cominciò a chiamarsi così pan fortis. Con gli scambi con l’Oriente il dolce si arricchì di spezie, preziose non solo perchè il loro gusto forte coprivano i sentori tipici della cattiva conservazione del dolce, ma soprattutto perchè ne prolungavano la durata in buone condizioni organolettiche. Le costosissime spezie erano appannaggio solo della fascia più alta della popolazione e dei monasteri, dove le monache le ricevevano in dono dai pellegrini che usavano così comprarsi i favori di Dio. Il panpepato senese ha la caratteristica forma di zucchetto e 17 ingredienti, quante sono le sue storiche contrade. Nel tempo le spezie sono rimaste solo nell’impasto e alla copertura è stato sostituito il più commerciale zucchero a velo. A Siena il panpepato non ha mai avuto il riconoscimento IGP, ma il suo antenato panforte ha ottenuto la certificazione nel 2013.

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Dal panpepato di Anagni… al pangiallo romano

Il panpepato di Anagni, città storica sede papale, viene anche chiamato “pane del Papa” o panpapato come a Ferrara. Dalla tipica forma a cupola, ha una preparazione molto simile a quella ternana con un impasto ricco di frutta secca, spezie, canditi e cioccolato. Viene consumato tra dicembre e gennaio. Tuttavia è particolarmente interessante risalire dalla città di Anagni, in provincia di Frosinone, a qualche chilometro più su, verso l’areale romano. Qui sarà possibile trovare un prodotto del tutto simile al panpepato, il pangiallo. Le sue origini sono da ricondurre in là nel tempo, all’età dell’Antica Roma. Seppure con una ricetta diversa tra ricchi e poveri, era uso nella Roma imperiale, durante il periodo del solstizio di inverno, donare dei dolci dall’aspetto dorato in segno di buon auspicio e per incoraggiare il ritorno del sole e della bella stagione. Anch’esso dolce tipico delle festività natalizie, non ha trovato una così ampia diffusione sul territorio nazionale, ma è rimasto confinato tra le provincie di Roma e di Viterbo. Prodotto a partire dallo stesso impasto di frutta secca, canditi, spezie e cioccolato e dalla tipica forma a cupola, il pangiallo si differenzia dal panpepato perché nel momento prima della cottura, la superficie del dolce viene spennellata o con il tuorlo dell’uovo o con una glassa allo zafferano. Grazie a questo passaggio, una volta che il dolce esce dal forno, il suo aspetto esterno è di un bel colore giallo dorato, da cui il nome.

Panpepato, pampepato, panpapato e pangiallo che bontà!

Insomma, piccola declinazione romana a parte, il panpepato ha trovato la sua migliore espressione in ogni regione di cui è originario, mantenendo nel passare dei secoli la sua forte connotazione territoriale. Ricco di cioccolata nel ferrarese, basso e tondeggiante a Siena, ricco di pepe, frutta secca e miele a Terni e Anagni, il panpepato viene prodotto ancora in maniera artigianale e la ricetta è spesso custodita gelosamente da ogni famiglia e ritenuta la migliore all’urlo del “q.b.”. Un unico dolce per quattro regioni e quattro città, con dosi incerte e declinato in tante varianti quante le famiglie che ha conquistato, ma con la grande capacità di mettere tutti d’accordo.

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