Quando si parla di vino piemontese difficilmente si parla di vino bianco piemontese. Il vino piemontese è – nell’immaginario dei più – un’eccellenza di rosso vestita, con eleganti trasparenze di pietre preziose quali rubino e granato. In particolare in Piemonte c’è un vitigno, il moscato, che ha delle peculiarità straordinarie, troppo spesso ingabbiate in una dicotomia che lo porta a diventare vino passito o vino frizzante da mettere in commercio oggi e bere dopo mezz’ora. Eppure il moscato è qualcosa di molto più complesso e, più che mai in questa splendida regione, si presta a vinificazioni secche affascinanti o a essere sì un vino frizzante dolce o dolcissimo, ma che dopo 5, anzi 10 anni, regala emozioni insospettabili.
Vino bianco piemontese: i mille volti del moscato
Non saranno forse proprio mille i volti del moscato, ma in realtà potrebbero benissimo essere di più se alle diverse vinificazioni e ai diversi tempi in cui viene commercializzato e bevuto si aggiungono le diverse interpretazioni delle migliaia di aziende produttrici.
Vino bianco piemontese: il Moscato d’Asti DOCG
In 51 comuni delle province di Alessandria, Asti e Cuneo, in 10.000 ettari vitati divisi in oltre 4.000 aziende produttrici e iscritti nelle denominazioni Moscato d’Asti DOCG e Asti Spumante DOCG, si coltiva moscato bianco. In realtà i numeri sono nettamente più alti, ma qui si vuole analizzare, come vino bianco piemontese, proprio la denominazione Moscato d’Asti DOCG. Quando si pensa a questo vino, infatti, si pensa a un vino dolce e frizzante che non brilla dal punto di vista organolettico se non per i caratteri propri del vitigno e spesso venduto insieme al panettone. Pochi sommelier per fare bella figura in un’occasione importante regalerebbero una bottiglia di Moscato d’Asti DOCG, soprattutto a un non esperto della tipologia. Eppure, proprio quel vino frizzante dolce che tutti conoscono, se vinificato con tutti i crismi, è capace di invecchiare con grande classe e dare il meglio di sé a 5-10 anni dalla vendemmia.
Certo, quando si pensa a un grande vino bianco piemontese si è portati a pensare a un Langhe Bianco, a un Gavi di una vecchia annata, a un Roero Arneis o a un Timorasso. I sommelier più appassionati di questa regione avranno sicuramente assaggiato degli affascinanti bianchi da uve nascetta o favorita e saranno appassionati degli spumanti metodo classico elaborati da uve erbaluce. Difficilmente, tra i loro primi pensieri, si materializzarà il Moscato d’Asti DOCG di una vecchia annata. Questo, tuttavia, richiede anche un esame di coscienza da parte dei produttori della denominazione: sono pochi infatti quelli che te lo propongono, complici o vittime di un mercato stuprato dalla legge del denaro imposta dal dio ignoranza.
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I “dissidenti”
dissidènte agg. e s. m. e f. [dal lat. dissĭdens –entis, part. pres. di dissidēre «discordare», propr. «sedere separatamente», comp. di dis– e sedēre]. – Che o chi dissente dagli altri su qualche punto in materia religiosa, politica, ecc., e si stacca perciò dal gruppo o dalla confessione di cui faceva parte: molti d. si dimisero dal partito; le chiese dissidenti.
Treccani
Quando si parla di moscato bianco si parla di uno dei vitigni aromatici per eccellenza, con profumi intensi che l’hanno reso famoso per l’elaborazione di vini dolci, passiti o frizzanti. Pochi produttori “dissidenti” si discostano dalla vinificazione tradizionale e elaborano vini bianchi secchi anche in virtù del fatto che i suoi profumi intensi non lo rendono gradevole per tutti i palati.
Vino bianco piemontese: il vino moscato secco
Occorre ricordare che il segreto sta nel suo nome: moscato deriva dal termine muscatus, ovvero che ha odore di muschio o noce moscata. E infatti, se vinificato con le dovute accortezze, non solo la dolcissima pesca bianca matura domina il suo bouquet: sono proprio i suoi profumi di erbe aromatiche e spezie a rendere questa tipologia particolarmente interessante.
Un aiuto ad apprezzare il vino moscato secco viene proprio dalla cucina piemontese: il vitello tonnato infatti può essere un abbinamento perfetto.
La ricetta originale del vitello tonnato non prevedeva l’uso del tonno, in quanto l’aggettivo tonnato stava a significare cucinato alla maniera del tonno. Negli stessi ricettari ottocenteschi viene spiegata la “Maniera per donare al vitello l’aspetto del tonno marinato” con preparazioni in cui non c’è il tonno tra gli ingredienti, ma il vitello viene cucinato per farlo sembrare e sapere di tonno. Probabilmente si tratta di un retaggio dei piatti di magro medievali quando, soprattutto nelle cucine di chiesa, per non indurre in tentazione almeno in apparenza, si cercavano espedienti sia per mangiare carne camuffata da pesce, sia per mangiare pesce travestito da carne.
Nel 1957 il vitello tonnato si arricchisce di una salsa a base di tonno e abbondante maionese per opera di Anna Gosetti della Salda, una vera food blogger ante litteram, che nel suo volume Le ricette regionali italiane ne fa un caposaldo della cucina lombarda per buona pace dei vicini piemontesi. Questa versione, ormai divenuta la ricetta più attuale,
Per onore di cronaca, in Lombardia era diffusa una versione di vitello tonnato che consisteva in un girello di vitello arrostito e servito con il suo fondo di cottura addensato con farina e deglassato limone.
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Chiara Bassi
Il vitello tonnato nella sua versione fredda moderna è particolarmente aromatico e sapido grazie alla salsa con cui viene servito. Nella sua versione più sofisticata non contiene maionese bensì uova sode, tonno, acciughe e capperi, oltre il fondo di cottura della carne. L’aromaticità del vino moscato e i suoi profumi dolci creano una magnifica contrapposizione capace di donare equilibrio.
Conclusione: un vino bianco piemontese “diverso”
Questo articolo vuole essere un invito a sperimentare un vino bianco piemontese come il vino moscato in due diverse versioni: il Moscato d’Asti DOCG un po’ datato e un vino moscato vinificato secco. E perchè non abbinare il Moscato d’Asti DOCG con 5-10 anni di età a delle deliziose ostriche?